mercoledì 13 aprile 2011

Cambiare la via vecchia per la nuova...ovvero audentes fortuna iuvat!

E’ molto facile parlare di cambiamento…molto più difficile realizzare, concretizzare il cambiamento…

Cambiare significa mutare, trasformare, modificare una cosa o una situazione, ma questo mutamento può realizzarsi sia sostituendo una cosa con un’altra dello stesso genere (ad es. cambiare casa o cambiare idea) sia sostituendo la medesima cosa con un’altra diversa, per cui la modifica è sostanziale (ad es. la pioggia che si cambia in grandine).
Eppure, il primo caso è di facilissima realizzazione, cambiare, invece, una cosa o una situazione o un’abitudine o la vita stessa con un’altra cosa, un’altra abitudine, un’altra situazione, un’altra vita mette sempre un po’ di paura.

C’è un famoso proverbio, espressione di saggezza popolare, che recita: “Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quello che lascia ma non sa quello che trova” e non c’è dubbio che se si intraprende una nuova strada non si può sapere con certezza a che cosa si vada incontro.

Tuttavia, la soluzione che questo proverbio sembra consigliare – quella di non abbandonare mai le vecchie strade - se venisse messa sempre in pratica, impedirebbe ogni progresso, ogni evoluzione, ogni trasformazione. Lo stesso Cristoforo Colombo, ad es., se si fosse fatto prendere dalla paura del nuovo, non si sarebbe mai mosso alla ricerca di una nuova strada per le Indie e non avrebbe mai scoperto quello che non si aspettava di scoprire, ovvero l’America!

Malgrado Colombo, però, malgrado i grandi inventori e i grandi scienziati, la paura della strada nuova esiste eccome!
La “paura del cambiamento” è essenzialmente la paura di uscire dall’area di “comfort” in cui ci sentiamo protetti e che comprende spazi conosciuti, familiari e amici, consuetudini. Pensiamo che sia più semplice e comodo compiere sempre le stesse azioni, vedere sempre le stesse persone e ignoriamo che quando usciamo dalla zona protetta, e quindi dall’abitudine, acquistiamo conoscenze, maturiamo e cambiamo in meglio, cresce la nostra autostima, i nostri orizzonti si allargano.

Ecco, quindi, che il primo passo verso il cambiamento vero sta nel rompere le abitudini e i vecchi schemi.
Molte delle nostre abitudini quotidiane, però, sono inconsapevoli: facciamo spesso gli stessi gesti, percorriamo le stesse strade, andiamo nello stesso bar ma non ce ne accorgiamo. Basterebbe che cambiassimo strada, che cambiassimo bar, che prendessimo il the invece del caffè…sarebbe sicuramente un utile esercizio per imparare a creare situazioni nuove nelle quali trovarsi a proprio agio ed allargare la nostra zona di comfort.

La cosa importante da fare è, dunque, imparare a cambiare, altrimenti il senso della protezione e del comfort può diventare una catena e rallentare se non addirittura impedire un vero e proprio cambiamento.

L’abitudine al cambiamento, quindi, determina una maggiore ampiezza del nostro focus rispetto alla visuale della nostra vita e ci permette di imparare ad affrontare facilmente anche i cambiamenti più consistenti, anziché procrastinare per pigrizia o per paura.

Inoltre se “osiamo” cambiare scopriremo che molti dei cambiamenti che ci spaventano in realtà sono molto più semplici di ciò che si immagina.

Ognuno di noi desidera nell'arco della vita raggiungere quegli obiettivi che ritiene desiderabili: l'autonomia finanziaria, una compagna/o per la vita, un figlio, una casa confortevole ed accogliente, ecc. Ma quanti di noi sono disponibili a fare i mutamenti interiori necessari per realizzare tutto ciò? Ognuno di questi obiettivi comporta inevitabilmente un cambiamento: significa abbandonare vecchie abitudini, modi di pensare obsoleti, significa morire a vecchie modalità di relazione per passare ad una nuova vita.

Ognuno di questi obiettivi rappresenta una trasformazione profonda: rappresenta una morte ed una rinascita.

Quando nel corso della vita di una persona, un determinato passaggio evolutivo è maturo, è pronto per essere oltrepassato, l'individuo deve attraversare una trasformazione profonda, a volte dolorosa: una morte. Tutti vogliamo crescere ed evolverci, ma chi di noi , pur di raggiungere lo scopo, accetta volentieri di morire? Ecco perché nella nostra psiche insorge un conflitto: crescere o non crescere?

Tutto questo è valido per il singolo individuo ma lo è altrettanto per una comunità e per la comunità sangiorgese in particolare.

Quella sangiorgese è una comunità conservatrice che teme il cambiamento, è una comunità avversa ad ogni progetto utopistico e ad ogni cambiamento radicale con una passione a tratti incomprensibile per la conservazione.
E, paradossalmente, spesso anche coloro i quali invocano il nuovo si lasciano sedurre dalla convinzione che la ricerca del benessere individuale e sociale stia nella continuità con il passato e non nel nuovo.
Dunque, non ci sono solo delle forze esterne al cambiamento che lo impediscono. E’ al proprio interno che il cambiamento trova le maggiori opposizioni.

Scriveva l’economista britannico Keynes: “la difficoltà non sta nel credere alle nuove idee ma nel rifuggire dalle vecchie” e a San Giorgio le cose stanno proprio così.
Per questo motivo, risulta naturale domandarsi se la comunità sangiorgese abbia coscienza per iniziare ad interrogarsi sulla necessità di cambiamento, se abbia la volontà di farlo oppure se continuerà ad invocare il nuovo ma delegando la responsabilità del cambiamento senza parteciparvi, nella consapevolezza che l’esitazione o la mera delega impedirà il nascere del nuovo.

Una società svogliata e appiattita su se stessa è una società che non vuole cambiare, che tende a perdere ogni orizzonte valoriale, la propria moralità, la sua libertà.

Tuttavia, è necessario piantare un seme di speranza da curare e far crescere: innanzitutto, rinnegando il falso cambiamento, quello presentato come novità ma al solo scopo di non perdere poteri e privilegi antichi, rinnegando quella San Giorgio gattopardesca che cerca sempre di riciclarsi sotto nuove spoglie per continuare a favorire ed a conservare se stessa il cui motto è “cambiare tutto per non cambiare niente”. E soprattutto ricomponendo e forze più sane, vive e dinamiche presenti nel nostro tessuto sociale, perché solo se le energie migliori di San Giorgio riusciranno a trovare una comune prospettiva per valorizzare e rendere collettive singole esperienze, impegno, idee, voglia di fare, San Giorgio avrà una speranza di futuro!

Se la società, fatta da individui, non può essere cambiata come corpo unico nel suo insieme ma soltanto partendo e lavorando sul cambiamento di ogni individuo, infatti, solo una genuina e convinta spinta collettiva potrà dare la forza ed il coraggio ai singoli di sentirsi collettività, di ergersi a massa critica e rifuggire le cause dei mali di questa comunità, maturando la coscienza del nuovo e del cambiamento.

Per cambiare San Giorgio, dunque, è necessario liberare San Giorgio!

E’ una sfida molto complessa, è una sfida piena, irta di ostacoli, di contrasti magari anche con i nostri stessi compagni di viaggio, animati sì da buoni propositi ma ancora non totalmente liberi dai condizionamenti…è una sfida verso un sogno, è la sfida dell’incoscienza, perché solo chi osa può veramente puntare al cambiamento, quello sostanziale e non di facciata, solo chi è audace e temerario può andare veramente oltre le abitudini e le consuetudini radicate del conservatorismo.

Nell’Eneide (libro X, 284), Virgilio, nel descrivere l’esortazione di Turno re dei Rutuli ad attaccare Enea suo avversario, scrive “Audentes fortuna iuvat”, il fato è dalla parte di coloro che osano e sanno prendere gli opportuni rischi... da allora ne è corsa di acqua sotto i ponti, ma il motto virgiliano è quanto mai vivo, attuale ed idoneo a rappresentare lo stato d’animo mio, e spero non solo mio, alle soglie dell’agone elettorale sangiorgese.

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